Innamòrati.

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Primo mese andato.

Non ho scritto perché ho procrastinato fino a mangiarmi le mani davanti a quel 31 scritto sulla mia agenda, anzi. Ho fatto abbastanza cose, mi sono ammalata abbastanza volte, e mi sono messa in dubbio abbastanza troppe volte.

Devo scrivere una cosa però.

Sono stanca. E non del fatto che vorrei mangiare schifezze, del fatto che la lista è stata cancellata solo per metà o del fatto che non ho scritto più su questo blog.

Sono stanca di

Quando ero piccola, mi innamoravo.
Ricordo fosse un’esplosione. Un ingarbugliamento spaventoso di interiora, il sangue che pompava perennemente verso le mie guance, il sorriso ebete stampato anche davanti alla merendina schiacciata dai libri dentro lo zaino.

E non mi innamoravo per essere ricambiata, quello era un miracolo a cui non ho mai davvero aspirato. Mi innamoravo per uno sguardo, un sorriso, un piccolo scarabocchio sul mio quaderno, un inutile scherzo o battuta condivisi, per un banco fatto stridere per avvicinarlo un po’ al mio, anche se forse era per guardare meglio alla lavagna.

Mi innamoravo e chiudevo tutto con un lucchetto dentro il mio corpicino grassottello, come una lucina, ed ero felice solo ad immaginarmi cosa sarebbe potuto essere se fossi stata carina, simpatica, alla moda come le altre.

Ed era bello. Era tutto invano, ma era bello.

Era un lanciarsi nel vuoto, gli scogli affilati sotto di me, i draghi pronti ad azzannarmi le caviglie nella caduta, il mare pronto a inghiottirmi, i fulmini a seccarmi, le risate a uccidermi.

E mi buttavo, e piangevo, e ridevo, e stavo male ed era incredibile.

Con ogni peggior previsione mi innamoravo, e mi disinnamoravo da sola, pronta a lanciare il cuore contro il prossimo muro saturo di aghi velenosi.

Sono anni che non succede più.

Non è tanto il mio ignorare corteggiamenti e complimenti come il più in gamba cercatore di mine antiuomo della storia, quanto il mio ignorare ogni pulsione amorosa che la bambina dal diario di Dragon Ball e quei nuovi nei che cominciavano a ombreggiare il viso mi sussurra all’orecchio.

Lo odio.
Vorrei innamorarmi solo per piangere perché non mi stringerà mai tra le sue braccia, perché ama quella ragazza più bella e con i denti dritti, e voglio ridere immaginandoci insieme durante il San Valentino più banale e commerciale del mondo, e pensare a quanti cani potremmo avere, o anche gatti a seconda dei gusti, e vorrei scrivere con le mani tremanti di questo amore che mi mangia e mi sputa, e poi mi rimangia quando il frigo è vuoto. Vorrei innamorarmi perché mi ha scritto un messaggio anche solo con una faccina gialla odiosa, o perché ha scambiato il mio numero con quello della Wind.

Vorrei innamorarmi perché voglio essere sicura che il mio cuore sta bene, che è ancora capace di frantumarsi per qualcuno, di lanciare maledizioni al mio cervello perché dannazione, ci siamo ricascati di nuovo.

 

Non ci riesco.

E’ la stessa paura che mi impedisce di sedermi di fianco a qualcuno sul treno, o di parlare durante il pranzo a lavoro, o che mi fa mettere la mano davanti alla bocca quando rido, o di quando non rispondo a messaggi per mesi, e poi mi pento.

Questo è il punto nella mia lista che non so se riuscirò davvero a completare quest’anno.

Innamorati, Mariangela.

Innamorati, dannazione.

E’ solo la fine del mondo.

Nulla cambia. Sono il mio più grande nemico, il mio vincitore, il mio perdente.

E’ una battaglia che non so come vincere, perché conosco tutti i miei punti deboli. So dove farmi più male, so come fare accelerare i battiti del mio cuore fino a farmi desistere. La senza nome fallisce, e Mariangela vince.

 

Qualche settimana fa ho fotografato il duomo di Modena.
Da un po’ di tempo mi è difficile entrare in chiesa.
E ne avevo dimenticato il silenzio, l’odore di incenso, i passi da misurare lentamente e il modo in cui il sole cattura e viene catturato.
E’ una meraviglia.
Un eco importante riecheggia in ogni vano.
E ti fa sentire meno sola.
Chissà se qualcuno è in ascolto.

Mare.

 

Sono stata al mare con i miei genitori e con il mio piccolo Hannibal.
Nervosismi, conchiglie e silenzi sereni.
Per la prima volta le sue zampette sono scappate dalle onde, per la prima volta sono stata contenta delle foto fatte al mare e per la prima volta ho catturato dei profondi respiri che mi mancavano da giorni.

Il giorno dopo.

 

Il giorno dopo ho ancora il volto cosparso del trucco della sera precedente.
Il giorno dopo tutti i difetti che ho tentato di mascherare ricompaiono, inevitabili. E mi domando se sono stata davvero capace di nasconderli. Mi domando se un giorno smetterò di vederli come problemi da nascondere, e comincerò a vederli come punti di forza da mettere in risalto.

Rossetti, eyeliner, fondotinta, tutti a servizio di me stessa. Il giorno prima, mi sembra quasi di riuscire a intravedere questo sogno.

Il giorno dopo rimangono solo briciole scure di un’insicurezza ferrea e rovente.

Qualcosa.

 

 

Qualcosa manca. Non so cosa.
Oggi sono felice, ho bevuto il mio litro d’acqua e c’è qualche soldino in più nel salvadanaio.
Sono depilata, truccata e ho dei bei vestiti da mettere stasera. Ho mangiato sano.

Sto bene. Ho una lista di cose da fare e quasi ogni riga è spuntata da un segno blu. Oggi ho ascoltato bella musica, ho riso e ho coccolato il mio cagnolino.

Ma qualcosa manca. C’è ancora troppa paura per dar nome a quel qualcosa.

Milano.

 

Non potrei viverci mai, ma sono consapevole di essermi trovata di fronte ad una città incredibilmente attraente e viva. Ci sono stata il 6 gennaio e il tempo ci ha graziato con un sole fresco e nessuna nuvola. Non ci ero mai stata e sono contenta di aver posato gli occhi sul Duomo, sulle Galleria e sul caos milanese di cui avevo soltanto sentito parlare.

Le foto devono migliorare, o saranno solo ricordi banali da cartolina kitch da 0.05 euro.

Graduation chic.

 

Mi sono laureata…quasi un mese fa, le foto sono arrivate ora e oramai non so più dove postarle. Mi piacciono tantissimo anche se devo ignorare il mio doppiomento, i miei cosciotti e la mia faccia Casper passione università.

L’abito è di Elisa Landri, e mi è costato 99 euro. Alla fine ne avevo disegnato uno molto simile ma per crearlo ne avrei dovuti spendere molti di più. Lo metterei ogni giorno, perché appena l’ho provato ho sentito la musichetta romantica e strappalacrime stile Say yes to the Dress.

Lo adoro. Vorrei che tutti i giorni fossero il giorno della mia laurea, ansia, paura e freddo artico a parte.