Gentile Signorina,

Gentile signorina, lei non è stata accettata.

Gentile signorina, leggendo questi sconosciuti nomi di spettacoli e vedendo la foto della sua bella faccia di culo, abbiamo pensato di non accettarla. Non serve che reciti, sappiamo già tutto. Ah, è una scuola di teatro? E quindi?

Solo una goccia, un’altra ancora che si aggiunge ad altre per far traboccare il vaso peggio riuscito della storia. Ci sto provando, alle volte sfiorando il ridicolo.
Chiedo ad ogni compagnia, regista, conoscente, di farmi recitare. Di darmi un’occasione. Ne ho una e la conservo carissima a me, ma cosa me ne faccio di tutti gli altri giorni? Cosa fingo di avere quando tutti hanno le agende piene di impegni, di spettacoli, di prove, di riprese? La prova la domenica, poi il resto è streaming di vuoti inutili.
Mesi fa la risposta era stata la mia pigrizia. Poi mi sono rimboccata le maniche e sono riuscita a strappare una mini comparsata, e poi il nulla. Ce l’avrebbe fatta chiunque. Manca qualcosa.

Manca qualcosa che faccia dire alle persone,
Gentile signorina, lei è stata accettata, lei ha qualcosa che vogliamo vedere. Qualcosa che ci spinge a volerla far recitare oltre i brufoli, il doppio mento, la pancia gonfia. Qualcosa che ci faccia venire in mente lei quando pensiamo a qualcuno da chiamare, da registrare, da dirigere. Non può essere solo l’aspetto fisico, non voglio pensare sia solo questo.

Non so cosa manca. Ho 25 anni e recito da quando ne avevo 12 e continua a mancare qualcosa. Forse è il talento. Forse è la dedizione che è troppa, ed è il talento che è sempre mancato.

Prima ridevo per ogni cosa. Battute dei miei amici, di persone che mi passavano accanto per strada, delle mie stesse stupidaggini.

Una volta mia madre disse che le piaceva la mia risata perché anche senza sapere di cosa stessi ridendo, veniva da ridere anche agli altri.

Prima mi facevano sorridere i video su internet. Sceglievo qualcosa che avevo visto anche mille volte, l’attimo preferito e avevo la certezza di sorridere o di ridere come una stupida.

Ho un brutto sorriso a casa dei miei denti, ma ho le fossette agli angoli della bocca, quindi me la cavo comunque.

Prima mi facevano piacere le vittorie nei giochi del cellulare, un’espressione matematica giusta al primo colpo, un disegno dove gli occhi non erano poi così storti, un parziale con un voto niente male. Nulla di che, ma la dose di buon umore la si prende anche dal nulla.

Nulla.
E ora rido sorrido e mi compiaccio. Recitare, quello un po’ lo so fare. Ogni tanto sfugge la maschera e qualcuno se ne accorge. Raccoglila subito Mariangela, non fare la stupida.
Piangere da sola, lo so fare ancora meglio.
Chiedere aiuto, non so da dove iniziare.

 

Lunedì.

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Si inizia sempre tutto dal lunedì. I nuovi progetti, il nuovo taglio di capelli, la nuova dieta.

Sarà che è anche San Faustino, protettore dei cuori solitari e dei brufoli da Nutella.
Oggi inizio a mettere in ordine la mia vita, i panni stirati, il mio album da disegno e i miei piccoli progetti. Forse fallirò da qui a due giorni, forse da qui all’eternità.

Restate connessi.

Arrivata. Di fretta. Di felicità. Di nostalgia.

PERBLOG

Non ho avuto modo di scrivere del mio arrivo a Portsmouth, sede del mio Erasmus. Sarò breve, concisa, noiosa, malinconica e piena di aspettative.

4 settembre.
Dipinti sulla pelle per la mia seconda mamma. Una bambina tra le braccia che stringe il mio maglione. La mia migliore amica. Un abbraccio che vale cinque mesi. Lacrime. Viaggio in macchina. Nuvola che bizzarra prende la forma di un aereo. Valigie che partono prima di noi. Un gate che apre troppo presto. Abbracci che valgono cinque mesi. Mamma e papà, un’altra foto. Lacrime. Occhi rossi e valigie che non si chiudono da sole. Papà che segue la fila che pian piano si stringe. Mani che salutano fino all’ultimo secondo. Mamma che sorride. Crocchette di pollo prima della partenza. Voci inglesi che cominciano a sentirsi. Autobus che dorme e non parte. Parte. Aereo che non mancava per nulla. Scossoni, pubblicità e parole da leggere per distrarsi. Atterraggio. Lunghe camminate e scale mobili infinite. Un treno che viaggia dentro l’aeroporto. Biglietto, quindici sterline. Gatwick-Portsmouth. Altro treno. Voci italiane, sorrisi. Parole di conforto, di conoscenza, di simpatia. Persone che passano oltre noi. Lovely, cheers, thank you, le loro parole preferite. Arrivo e saluti. Strade al bivio. Lunga camminata. Valigie che fanno bruciare le braccia. Stanchezza. Un sorriso e una mano che saluta. Parole, parole, parole inglesi. Casa. Camera. Piccola e graziosa. La porta è da buttare a spintoni, ma c’è. Stanchezza. Umorismo inglese e altri sorrisi. Insalata e pomodori, come in Italia. Frutta e muffin, come a casa. Lenzuola presenti, piumone assente. Ecco il freddo. Maglioni sopra il pigiama e altro freddo. Poi la mattina.

Rapida.

Meno cinque giorni.
Meno cinque giorni alla mia partenza.
Ansia.
Non ho il tempo di caricare una foto che esprima la mia.
Ansia. Paura. Tristezza. Anticipazione.
Ho tempo per qualche hashtag.
E qualche piccola ansia in più.